Intervista al fotografo Sergio Marcelli di Ancona

Intervistiamo il fotografo partner Sergio Marcelli di Ancona, fotografo e professore di fotografia che nel 2016 ha pubblicato per la Hoepli un suo manuale intitolato “Trattato fondamentale di fotografia”.
Qual è stato il suo percorso professionale fino ad oggi?
Tutto è iniziato con una tesi di fotografia per un corso post-diploma di visual design, terminato con un periodo in cui ho lavorato come assistente.
All'epoca iniziavo anche a fare le prime mostre. E fu durante una di queste che sono stato contattato da una scuola di cinema per insegnare fotografia.
L'interesse per progetti personali accomunato alla didattica mi ha permesso di approfondire la materia, tanto da poterne trarre un manuale, uscito in libreria con Hoepli nel 2016.
Tuttavia non amo vedermi indossare i panni del "prof", ma piuttosto quelli di un professionista divulgatore.
Il mio lavoro si sviluppa su linee che tendono a fondersi: da un lato lo studio, la ricerca, da un altro la fotografia commerciale, per aziende e privati. In entrambi i casi con la consapevolezza di offrire uno sguardo autoriale. Un altro interesse è il cinema. Alla fine degli anni Novanta ho lavorato per un periodo come fotografo di scena - mestiere questo che mi ha permesso di rubare con gli occhi. Così mi sono iniziato a cimentare nella direzione di cortometraggi, per orientarmi poi verso il documentario.
Cosa ama della sua professione e perché l’ha scelta?
La passione è nata in camera oscura, quando del digitale se ne sentiva solo parlare. Amo il fatto che sia un lavoro in continua evoluzione, dove non si smette mai di imparare.
Lo studio della composizione, la cura della luce, la scelta stessa di quello che si vuol fotografare... il rapporto con la gente: la fotografia è quel linguaggio che parla agli "occhi". Qualcosa di magnifico, meraviglioso.
Quali sono le principali difficoltà della sua professione?
Fare il fotografo vuol dire tutto e niente. Può trattarsi di un reporter di guerra, un fotografo di cerimonia, uno che fa moda e l'elenco potrebbe proseguire a lungo.
Spesso si è tentati di pensare che basta un clic e il gioco è fatto. Molta gente pensa che al massimo si va in post-produzione e il gioco è fatto. In realtà lo scatto è la punta di un iceberg. E quanto non emerge è altrettanto fondamentale e va trasmesso al cliente.
Secondo lei, qual è il ruolo principale di un fotografo?
Può cambiare molto di caso in caso. In ambito commerciale può capitare che serva solo un buon tecnico, come nel caso della riproduzione di un quadro. Altre volte il fotografo è invece anche art director. Una specie di regista capace di interfacciarsi con i vari partner per interpretare correttamente il messaggio: visualizzare preventivamente l'immagine.
Quale pensa che sia una qualità indispensabile per esercitare la sua professione ?
A rispondere dovrebbero essere i miei scatti. Posso solo aggiungere la ricetta che uso. Competenza, padronanza tecnica, disponibilità e pazienza: tutti ingredienti abbastanza scontati. Serve poi un po' di educazione visiva, talento. Ma forse quello è un dono innato.
Ma la fotografia è soprattutto immaginazione. Saper cogliere il dettaglio, estrapolarlo dal contesto reale, prevedere l'immagine che sarà.
In cosa consiste la sua professione?
La mia professione si ciba soprattutto di ricerca, di continua sperimentazione. Lo scatto non è che il momento culminante e non solo da un punto di vista prettamente tecnico. Per questo curo diversi progetti personali. Sono la mia palestra.
Il lavoro su commissione altro non è che un distillato della mia ricerca. Forse per questo amo spaziare attraverso diversi generi: dal ritratto alla moda, dalla fotografia d'interni allo still life, senza snobbare affatto la cerimonia.
A conti fatti non esiste una netta definizione tra ricerca personale e lavoro commerciale. Le due strade si fondono inevitabilmente.
Cosa la motiva di più nella sua professione?
La fotografia credo sia fatta di rapporti tra persone, ma anche di rapporti con gli oggetti o più precisamente tra il fotografo il soggetto che si vuole catturare.
Di quale progetto conserva più ricordi?
Non ho un progetto specifico. Ricordo diversi servizi di moda, di architettura. Un reportage di Gerusalemme, in seno al Magnificat, una scuola di musica per bambini, voluta dal padre francescano Armando Pierucci, organista al Santo Sepolcro.
Però forse la ritrattistica è il genere che mi ha dato più soddisfazione.
Qual è la sua città preferita?
Berlino.
Che aspetto avrebbe il suo autoritratto?
Al Musinf di Senigallia, il Museo dell'Informazione, è conservato un mio autoritratto. Si vede il busto, le gambe, i piedi. La testa però è tagliata.
Dove trova l’ispirazione?
Soprattutto nella musica.
Come definisce la relazione tra il fotografo e il cliente?
Umana.
In cosa è specializzato?
Amo spaziare attraverso diversi generi. Dell'architettura, dello still life mi interessa l'aspetto tecnico. Nel ritratto l'aspetto psicologico, il rapporto che si va ad instaurare con le persone. Mi piace poi il racconto fotografico come nel caso di un matrimonio. Raramente realizzo reportage fotografici, mi interessano sotto l'aspetto audiovisivo, documentaristico.
Qual è la sua app preferita al momento?
Quella che mi serve al momento.
Lasci un messaggio per i suoi futuri clienti!
Badate ai contenuti, al valore delle immagini. Il resto viene poi. Una buona foto resta per sempre.
La ringraziamo per averci dedicato il suo tempo!
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